(La Stampa, 7 dicembre 2014, Paola Italiano)
Un’ingiustizia e un diritto negato da quasi 20 anni per via dell’errata interpretazione di un accordo sindacale. Il tribunale del lavoro di Torino ha accolto il ricorso di due psicologhe torinesi e ha condannato il loro ente previdenziale, l’Enpap, a pagare le indennità di maternità sul totale del loro reddito professionale. Cosa che prima della sentenza era impedita dal fatto che le due libere professioniste lavorano, per alcune ore alla settimana, anche con l’Asl. È la prima causa di questo tipo in Italia, ma potrebbe riguardare migliaia di altre donne.
I motivi del ricorso
Le due psicologhe, assistite dall’avvocato Angelica Savoini, sono libere professioniste, ma hanno anche una convenzione a tempo indeterminato con l’Asl e prestano servizio per alcune ore alla settimana in un ambulatorio pubblico. Anche se versano i contributi all’Enpap su tutto il reddito professionale (prodotto sia privatamente, sia come convenzionate Asl) al momento della maternità l’Enpap nega di erogare quanto stabilito dalla legge. Lo fa in virtù di un vecchio accordo collettivo (rinnovato nel tempo) che prevede che alla libera professionista convenzionata, l’indennità debba erogarla l’Asl. Ma questo vuol dire ricevere un importo di gran lunga inferiore a quanto spetta loro, anche perché l’Asl calcola l’assegno sulla base delle sole ore lavorate nel pubblico e solo per 14 settimane, invece dei 5 mesi previsti per i liberi professionisti.
L’arrivo dei gemelli
La storia di Irene Giulia Cimma, una delle ricorrenti, è illuminante. Ha uno studio privato e una convenzione con l’Asl To3 per 8 ore a settimana. Il suo reddito supera i 30 mila euro, ma quando, nel 2012 resta incinta di due gemelli, si vede riconoscere dalla sola Asl un’indennità di maternità di 2.800 euro: addirittura meno di quanto percepiscono le donne senza reddito (quasi 5 mila euro).
«Era chiaro fin da subito che fosse un’ingiustizia. Ma quello che ci ha innervosito è stato trovare, nel modulo per la richiesta di maternità la clausola che prevede l’esclusione: inserita in modo arbitrario, perché non compare nella normativa nazionale né nel regolamento dell’Enpap». Ma perché, dopo quasi 20 anni nessuna delle psicologhe aveva sollevato il problema? Irene si risponde così: «Quando chiami il call center dell’Enpap sono molto perentori nel dire che il diritto non c’è. Già questo ti scoraggia. Inoltre, una donna in quel momento è particolarmente fragile e ha mille cose per la testa, non pensa di sicuro di intraprendere una causa».
Il giudice Lucia Mancinelli, condannando l’Enpap a versarle oltre 10 mila euro, ha sancito che l’Ente avrebbe dovuto riconoscerle l’indennità sull’intero reddito. Non ha nemmeno sottratto la cifra che le ha già versato l’Asl. In attesa delle motivazioni, il processo potrebbe essere il primo di migliaia.
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