E' in vigore dal 15 agosto 2020 il decreto legge n. 104 del 14 agosto 2020, che all'art. 14 affronta l'annunciato tema della proroga delle disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo.
Nel tentativo di sfuggire alle censure di incostituzionalità sollevate da molti giuristi e commentatori sul divieto di recesso, il d.l. 104/2020 - noto anche come decreto “agosto” - trasforma il c.d. blocco dei licenziamenti da “assoluto” a “flessibile”. La facoltà datoriale di recedere per giustificato motivo oggettivo, inibita sino al 17 agosto 2020, continua - con alcune rilevanti eccezioni di cui si dirà infra - ed essere preclusa, ma solo per “i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all'emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all'articolo 1 ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali di cui all'articolo 3 del presente decreto”.
La portata oggettiva del divieto – se si fanno salve le deroghe espressamente previste dal comma 3 dell'art. 14 (che saranno descritte infra) – è quella dei precedenti provvedimenti governativi; il datore di lavoro non può:
i) avviare o portare a compimento le procedure di licenziamento collettivo ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 della legge 23 luglio 1991 n.223;
ii) recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo;
iii) portare a compimento le procedure in corso al 23 febbraio 2020 di cui all'articolo 7 legge 604/1966.
Quanto alla durata del divieto, questa si ricava per via interpretativa.
Posto che, ai sensi dell'art. 1 del decreto “agosto”, ai datori di lavoro è concessa la possibilità di fruire dei trattamenti di integrazione salariale per ulteriori 18 settimane (9 + 9 settimane) a far data dal 13 luglio 2020, il divieto di licenziamento si estenderà sino all'avvenuta fruizione integrale di tali ammortizzatori sociali (che se, goduti senza soluzione di continuità, scadranno il 16 novembre 2020).
In alternativa all'utilizzo della Cassa Integrazione, l'art. 3 del decreto “agosto” prevede, in via eccezionale, che i datori di lavoro privati che non richiedono i trattamenti salariali sopra menzionati e che abbiano già fruito, nei mesi di maggio e giugno 2020, degli ammortizzatori sociali, beneficino (non è chiaro se in via automatica o previa richiesta) dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico, nei limiti del doppio delle ore di integrazione salariale già godute nel maggio e nel giugno 2020, e per un periodo massimo di 4 mesi fruibili entro il 31 dicembre 2020.
Per tutta la durata dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali, il datore di lavoro non potrà licenziare.
Come è stato sottolineato da alcuni commentatori sui quotidiani nazionali, questa norma apre alla possibilità datoriale di licenziare anche prima della scadenza dei 4 mesi, in tutti quei casi in cui l'utilizzo degli ammortizzatori sociali nei 2 mesi di riferimento (maggio e giugno 2020) sia stato di modesta entità; per esempio, ipotizzando che un imprenditore abbia chiesto, nel maggio-giugno 2020, di beneficiare di 2 settimane di Cassa Integrazione, l'esonero contributivo abbraccerebbe il doppio di quel lasso temporale, con la conseguenza che, allo spirare delle 4 settimane di esonero dal pagamento dei contributi, il lavoratore sarebbe passibile di licenziamento.
Come si è anticipato, il decreto “agosto” ha previsto altresì delle vere e proprie eccezioni al divieto di recesso, individuando quattro ipotesi in cui il datore di lavoro può, sin dal momento dell'entrata in vigore del provvedimento, licenziare il lavoratore (art. 14, comma 3 d.l. 104/2020).
a) La prima ipotesi è quella dei licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell'attività dell'impresa, “conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell'attività”.
La norma si premura anche di specificare che il licenziamento non può intervenire se, nel corso della liquidazione, venga operata la cessione di un complesso di beni o attività “che possano configurare un trasferimento d'azienda o di un ramo di essa ai sensi dell'articolo 2112 c.c.”.
Tale ultima disposizione – lo ricordiamo – definisce con ampiezza il concetto di “trasferimento d'azienda”, qualificandolo come “qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda”.
In buona sostanza, soltanto una totale e definitiva cessazione dell'impresa, con contestuale chiusura dell'attività e interruzione del complesso di beni e servizi caratterizzanti l'azienda, consentono al datore di lavoro di procedere con il licenziamento del personale.
b) Sulla stessa falsariga è anche la seconda ipotesi, ossia quella delle società che incorrano nel fallimento, quando non sia previsto l'esercizio provvisorio dell'impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione.
Nel caso in cui l'esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell'azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non appartenenti a quel ramo.
c) Infine, la terza ipotesi prevista dall'art. 14 è quella che prevede la possibilità di stipulare un accordo collettivo aziendale da parte delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, con cui sia regolato un “incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo”.
A detti lavoratori è espressamente riconosciuto il trattamento di disoccupazione ex art. 1 D.Lgs. 4 marzo 2015, n.22, nonostante non si tratti propriamente di dipendenti rimasti inoccupati involontariamente.
Quest'ultima norma promuove quindi le fattispecie in cui le parti, debitamente assistite dalle rispettive rappresentanze sindacali, trovino un accordo nelle more della vigenza del “blocco” nell'ambito di una riorganizzazione aziendale che assicuri un'uscita incentivata al lavoratore che voglia aderirvi, forte anche della garanzia di ottenere la Naspi.
d) Viene poi nuovamente avallato il licenziamento del lavoratore coinvolto in un cambio appalto. Come già aveva fatto l'art.46 comma 1 d.l. 17 marzo 2020 n.18, anche l'art. 14 comma 1 del decreto “agosto” fa salve “le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell'appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto”.
Infine, come già con l'emanazione del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 convertito nella legge 17 luglio 2020, n. 77, il legislatore ha avuto cura di precisare che il datore di lavoro che nell'anno 2020 abbia proceduto al recesso dal contratto lavoro per giustificato motivo oggettivo può revocare in ogni tempo il licenziamento, purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di Cassa Integrazione salariale. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro (art.14 comma 4 d.l. 104/20).
Questo articolo è stato pubblicato sul portale Consulenza.it.
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