Ai sensi degli artt. 36 comma 3 Cost., 2109 cod. civ. e 10 D.Lgs. 8 aprile 2003 n.66, i lavoratori dipendenti godono del diritto irrinunciabile a un periodo annuale di ferie retribuite pari ad almeno 4 settimane (di norma, 28 giorni), per reintegrare le energie psicofisiche spese nella prestazione lavorativa e partecipare alla vita familiare e sociale.
I giorni di ferie spettanti si calcolano considerando due variabili: i) la maturazione del diritto al momento del godimento delle ferie; ii) la durata stabilita dai contratti collettivi, o in alcuni casi, dalla legge.
Il periodo di maturazione di norma abbraccia 12 mesi e coincide con l’anno civile.
Com'è noto, il dipendente che non lavora tutto il periodo di maturazione, come di frequente accade nell’ambito dei contratti a tempo determinato o nel caso di assunzione/cessazione del rapporto nel corso dell’anno, ha diritto a un numero di giorni di ferie proporzionale al servizio effettivamente prestato.
Alcune assenze del lavoratore per motivi indipendenti dalla sua volontà, laddove trovino fondamento in “ragioni meritevoli di tutela e perciò equiparate al servizio effettivo” (per usare le parole del Tribunale di Torino nella sentenza dell'8 marzo 2017), non interrompono la maturazione delle ferie.
Si tratta, in primis, delle assenze per malattia, al centro di innumerevoli contenziosi, tutti risolti nel senso di assimilare i periodi di lavoro effettivo al caso della sopravvenienza di un’inabilità al lavoro per causa di malattia, quale circostanza imprevedibile ed indipendente dalla volontà del lavoratore (ex multiis e tra i più recenti, si veda TAR Calabria Catanzaro 19 febbraio 2018, n. 456).
E ancora, rilevano ai fini del computo della maturazione delle ferie il periodo di astensione obbligatoria per maternità, i giorni di permesso per assistere i disabili ex legge 5 febbraio 1992 n.104 (come affermato di recente da Cass. 7 giugno 2017 n. 14187), il periodo di congedo matrimoniale, la CIG ad orario ridotto, le assenze per incarichi presso i seggi elettorali.
All'opposto, non rilevano ai fini della maturazione delle ferie l’astensione facoltativa per maternità, le assenze per sciopero, il preavviso non lavorato, la CIG a zero ore.
Assai controverso anche il periodo di assenza compreso tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione del dipendente.
Per giurisprudenza consolidata, l'attribuzione al lavoratore delle retribuzioni non percepite dalla data di intimazione del licenziamento fino alla reintegrazione in servizio (oppure all'esercizio del diritto di opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione), non comprende l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, attesa la sua “natura sia risarcitoria che retributiva, che spetta unicamente nel caso in cui il lavoratore, essendo in servizio effettivo, abbia svolto la propria attività nel corso di tutto l'anno senza fruirne, in quanto il dipendente licenziato, nel periodo intercorrente tra il recesso e l'esercizio dell'opzione per l'indennità, si trova in una situazione, sia pure forzata, di riposo” (si veda l'ultima in senso cronologico di molte pronunce conformi, anche risalenti, in Cass. 29 novembre 2016 n. 24270).
L'argomento, tuttavia, è stato rimesso in discussione dalla Corte Suprema, che con ordinanza del 27 novembre 2018 ha formulato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, chiedendo se le disposizioni o le prassi nazionali, in base alle quali il diritto al pagamento di un’indennità pecuniaria per le ferie maturate non godute non sia dovuto nel periodo tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione, siano in contrasto con l’art. 7 della Direttiva 2003/88 e l’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Partendo da due casi, uno bulgaro e l’altro italiano, il mese scorso la Corte di Giustizia (sentenza del 25 giugno 2020 - cause riunite C-762/18 e C-37/19) ha risposto al quesito affermando il contrasto con la normativa comunitaria – in particolare con l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (organizzazione dell’orario di lavoro) – di una giurisprudenza nazionale che neghi tale diritto sulla base del fatto che, durante questo periodo, il lavoratore non abbia svolto un lavoro effettivo. In questa fattispecie, come per l’analogo caso della malattia, deve applicarsi una deroga al principio secondo cui il diritto alle ferie annuali devono sia da determinarsi in funzione dei periodi di lavoro effettivo.
La giurisprudenza domestica in materia, pertanto, è destinata a cambiare, al fine di conformarsi ai principi europei, come interpretati dalla Corte di Giustizia nella sentenza summenzionata.
Ciò premesso con riferimento alla maturazione delle ferie, ricordiamo che la fruizione delle stesse configura un diritto irrinunciabile, e qualsiasi patto contrario è nullo e sostituito con la disposizione attributiva del diritto stesso.
L'art.10 D.lgs 66/2003 stabilisce che almeno due settimane di ferie, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, devono essere godute nel corso dell'anno di maturazione, mentre “le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell'anno di maturazione”.
La previsione legale è assistita da un apparato sanzionatorio di natura amministrativa: multa da un minimo di 120,00 a un massino di 720,00 euro, che diventa di 480,00/1.800,00 euro se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero si è verificata per almeno 2 anni, e di 960,00/5.400,00 euro se si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero si è verificata per almeno 4 anni (art. 18 bis del D.lgs 66/2003).
E' quindi senz'altro opportuno prestare la massima attenzione alla “finestra” temporale entro cui le ferie vanno fatte fruire al dipendente, perché anche nell'ipotesi di mancato godimento parziale il datore di lavoro risulta sanzionabile sotto il profilo amministrativo.
D'altro canto, la condotta datoriale può essere anche censurata in giudizio, laddove il lavoratore riesca a dimostrare di aver subito un danno da usura psicofisica.
Interessante sul punto l'arresto della Suprema Corte che ha riconosciuto la pretesa risarcitoria a due dipendenti comunali, censurando la condotta del datore di lavoro che aveva imposto la fruizione continuativa di ferie risalenti, delle quali non aveva assicurato il tempestivo godimento nel periodo di riferimento.
La pronuncia del 20 febbraio 2020 riconosceva ai dipendenti anche l'indennità sostitutiva delle ferie non godute, sul presupposto che quest’ultima avrebbe “natura mista, sia risarcitoria che retributiva, a fronte della quale si deve ritenere prevalente, ai fini della verifica della prescrizione, il carattere risarcitorio, volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo, cui va assicurata la più ampia tutela applicando il termine ordinario decennale, mentre la natura retributiva, quale corrispettivo dell'attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, assume rilievo allorché ne debba essere valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione”(Cass. 3021/2020).
L'indennità sostitutiva spetta al lavoratore allorché il diritto alle ferie sia monetizzabile, ciò che avviene quando i giorni non goduti eccedano il periodo minimo stabilito dalla legge in virtù di una disposizione dei c.c.n.l. nazionali o aziendali, ovvero del contratto individuale.
Oppure, più frequentemente, l'indennità monetaria viene corrisposta per ferie residue al momento di cessazione del rapporto di lavoro che avvenga in corso d'anno.
Anche il diritto all'indennità non può essere eliminato o compresso dalla normativa nazionale o dalla contrattazione collettiva. La Cassazione ha chiaramente espresso “l'illegittimità, per contrasto con norme imperative, delle disposizioni dei contratti collettivi che escludano il diritto del lavoratore all'equivalente economico di periodi di ferie non goduti al momento della risoluzione del rapporto, salva l'ipotesi del lavoratore che abbia disattesa la specifica offerta della fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro” (Cass. 9 luglio 2012, n. 11462).
E nell'ipotesi contraria del lavoratore che fruisca di un numero di giorni di ferie maggiore di quelli maturati? Per tali casi i c.c.n.l. o gli usi prevedono che il datore di lavoro possa, alternativamente, pagare la retribuzione mensile e detrarre dal successivo periodo di maturazione i giorni (già) goduti, ovvero pagare la retribuzione decurtata di una somma corrispondente ai giorni di ferie già fruiti benché non (ancora) maturati.
Questo articolo è stato pubblicato sul portale Consulenza.it
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